SÓTTSIRA A PO

E cul gran fiömm

ch-andava sóttsira

acsè pigar, csè bèl

e impunént,

ch-al duciava

li piòpi in gulena

primm da véddli

sparìr in dal scür,

al rubava a li spóndi

la vus di cucù

e i milla udur

a dli rivi fiuridi

pr-avéri ségh

in tött al sö curs.

Poesia trovata su un foglio da Cristina Saccani, dentro ad un libro di proverbi guastallesi. Peccato non ci sia il nome dell’autore.

Guastalla, le “Trancerie Mossina”

GUASTALLA, SVILUPPO INDUSTRIALE


Siamo tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. Da qualche decennio Guastalla cerca di uscire da una economia prettamente legata all’agricoltura per percorrere i binari dell’industrializzazione come del resto avviene in gran parte del Nord Italia. Uno dei primi nuovi complessi industriali costruiti fu quello delle Trancerie Mossina che manifesta tutta la sua imponenza in questa immagine aerea dell’epoca. L’edificio esiste ancora oggi lungo via Circonvallazione. Quando le trancerie chiusero i battenti l’opificio fu ristrutturato e per diversi anni fu occupato nei piani superiori dalla Pellicceria Bartoli mentre a livello stradale presero posto diverse attività artigianali e commerciale. Con la chiusura della Pellicceria i piani superiori furono occupati da nuove attività di servizio.

“Il mio primo lavoro in fabbrica. Assunto il 9/10/59 con qualifica di garzone a 80 lire l’ora. Le fabbriche a Guastalla erano Mossina, Smeg, Mellini, Germania. Mossina occupava soprattutto donne che venivano in bicicletta da Luzzara, S. Vittoria, Gualtieri, Boretto. Si facevano turni sino alle 9 di sera (io non li facevo perchè troppo giovane). Si lavorava volentieri, cera voglia di imparare, anche se lì da imparare per il futuro non è che ci fosse tanto. Qualcuno dei più giovani di allora li rivedo in giro” (Oddone Barboni)

“Fu uno storico cliente della nostra azienda, abbiamo ancora in giacenza cuscinetti per le loro macchine!” (Jimmy Fiaccadori)

Una partita di calcio tra Reggiana e “Trancerie Mossina” raccontata da Cesare:

http://cecedailynews.blogspot.com/2015/10/trancerie-mossina.html?m=1

Ciminiere

Ciminiere ciminiere
siete belle da vedere,
con il pennacchio piegato al vento
come il fumo d’un bastimento.
Tra poco forse la città
nel cielo azzurro salperà.
Ma com’è triste vedere
la morte delle ciminiere:
dov’è il fumo piegato al vento?
La sirena perché non sento?
Dietro il cancello nero sbarrato
il cuor che batteva qualcuno ha fermato.
Ma tu sirena, non resti muta,
e chiami, chiami l’uomo in tuta:
la sua mano ridesterà
il forte cuore della città.

Gianni Rodari

La fornace di Baccanello

(da un’idea di Ulfi Umberto Gandolfi)

La barca “Asso di Cuori”

L’Asso di Cuori era una motonave che ha fatto servizio turistico sul Po negli anni ’70 e ’80.

La motonave in funzione a Rimini, foto da Eugenio Bartoli

Quando per l’armatore questa imbarcazione aveva esaurito il suo compito, un gruppo di guastallesi, animato da Nereo Luppi e Walter Ostendi, evitò la demolizione del natante. Per diversi anni quindi L’Asso di Cuori continuò a navigare privatamente lungo il Grande Fiume.

Dall’archivio di Italo Moscatti

Una grande piena infine mandò l’imbarcazione più volte a cozzare violentemente contro le pietre del Pennello causandone l’affondamento avvenuto poco dopo il nuovo ponte di Guastalla. Eravamo verso la fine degli anni ’80.

Si può notare quanto fosse logorato dal tempo tanto da presagire che sarebbe bastato poco per affondarlo.

Qui lo si vede ancorato vicino al mitico barcone di Rossi durante una piena.

Il barcone ormai affondato, novembre 1989, foto di Alberto Brusciano

Sarà ancora lì, sepolto nella sabbia?

Foto di Gabriele Azzolini
L’Asso di Cuori sepolta dalla neve, foto di Eugenio Bartoli

Là dove c’era l’erba ora c’è…

Via Cavallo, fine anni 70. Foto di Gabriele Azzolini

Il proprietario del casone in primo piano era un mio prozio, che non ho avuto modo di conoscere bene. Me lo ricordo (vagamente) come una persona che viveva da sola, non troppo espansiva. Si chiamava Sperindio e, in dialetto, veniva chiamato “Spirin“. Morì quando avevo, credo, 14/15 anni. La casa e il terreno vennero venduti dai vari eredi (lui non aveva figli ed era rimasto vedovo) dopo diversi anni. Tra gli eredi c’era anche mio padre e la madre dei miei cugini. Prima della vendita, abbiamo avuto la possibilità (io, i miei cugini, altri ragazzi di via Cavallo e non solo) di utilizzare il terreno, per svariati anni, come campo da calcio. Costruimmo le porte (quasi regolari) e intitolammo lo “stadio” al citato prozio, con una certa distorsione del nome: “San Spiro“. Mi piacerebbe sapere chi si ricorda di aver giocato in quel campetto. Mi vengono in mente le parole della canzone di Celentano: “Gente tranquilla che lavorava. Là dove c’era l’erba ora c’è una Città”. (Gianluca Soliani)

San Spiro” era appuntamento fisso per una partita ogni settimana il sabato pomeriggio. (Arrigo Paluan)

Sulla sinistra c’è via S. Cristoforo; sulla destra ora via Dalla Chiesa. C’era un enorme campo sulla destra con una montagna di terra. Quante rotolate da quella montagna. (Cristina Saccani)

Qualche partita, ma solo qualcuna, a calcio l’ho fatta, e anche qualche salto con la bici da cross sui mucchi di terra, ma solo qualche… (Stefano Spaggiari)

Personaggi guastallesi: Pietro Rossi

IL GUARDIANO DEL PO

Ricordo molto bene questo vecchietto, magro con gli occhiali piuttosto spessi, molto riservato, calmo e tranquillo. Aveva sistemato la sua abitazione dentro un barcone di cemento del vecchio ponte che congiungeva Guastalla all’altra riva del Po. Il barcone era ancorato quasi sotto il nuovo ponte vicino al “pennello” appoggiato sulla sabbia quando il fiume lo permetteva. In quel punto si era formata una specie di “lanca” o invaso di acqua, dove venivano ancorate le barche dei pescatori. Ci si poteva arrivare dal pennello lungo il Po con una passeggiata o dall’interno anche con la macchina. Il luogo era abbastanza frequentato sia dai curiosi che volevano fare un giro, sia da un gruppo di proprietari di barche ormeggiate in quel posto che il sig. Rossi custodiva amorevolmente in cambio di qualche spicciolo o altra cosa. Quello era il suo regno ed è stato difficile da parte delle autorità quando ormai era troppo vecchio e con problemi di salute convincerlo ad andare alla casa di riposo. Ero giovane ma ricordo benissimo il suo alloggio dentro quel barcone da dove di tanto in tanto uscivano ed entravano indisturbati grossi “toponi”. Ricordo anche di aver chiesto al sig. Rossi se non avesse timore o paura di quegli animali che frequentavano il suo alloggio. Mi rispose tranquillamente di “no” e che non lo infastidivano, perché erano loro che avevano paura di lui. Pensando ora sembra assurda una vita in questo modo, ma vi garantisco che lui era contento e sereno. Da non credere per chi non ha visto …aveva una piccola barca per gli spostamenti necessari, soprattutto per mettere in sicurezza le barche dei pescatori che custodiva, ma lui viveva proprio lì, nel barcone. (Diego Storchi)

Pietro Rossi ed il suo modesto rifugio/abitazione sulla chiatta ancorata in una rada del grande fiume protetta dal vecchio Pennello. Un amabile personaggio del ‘900 padano che sembrava uscito dalla penna di Cesare Zavattivi o forse anche di Andrea Camilleri. (Claudio D’Adam)

Era un uomo che aveva il senso della vita libera e spensierata, visto che era in pensione e che aveva lavorato sul fiume una vita perché era portiere e il barcone dove alloggiava lo aveva costruito lui da giovane e lui lo trasformò in “baracca”. Era una gran brava persona, diceva che d’inverno i topi andavano sotto le coperte e si scaldavano a vicenda: per lui erano amici come animali domestici. (Alessandro Truzzi)

Credo che lo chiamassero Piero. L’ho conosciuto abbastanza bene. Presso il suo barcone si radunavano degli appassionati del Po, tra cui mio padre, per fare “filosso”. L’ho intervistato due volte per Radio Gbr. Il suo linguaggio esclusivamente dialettale era ricco di termini di cui, non solo non si fa più uso, ma si è ormai persa la memoria (ad es., “valsoragh”, che forse non si scrive cosi’). La sua fluida descrizione della natura attorno a lui (che contemplava l’immancabile presenza anche di “tupon” che gli facevano compagnia), evocava immagini straordinarie, vale a dire: i mutamenti delle stagioni, i colori, i suoni, la fauna e la vegetazione dell’ambiente del Po. Un linguaggio quasi lirico, sebbene semplice, anche perchè arricchito di espressioni che soltanto chi era a stretto contatto col Po come lui (che, quasi per una vita, ha vissuto in un vecchio barcone), poteva conoscere. (Gianluca Soliani)

Rossi era un pescatore, dipingeva, ed era un “cantastorie” ai suoi tempi non conoscevamo il significato, del rapporto “autobiografia e cantastorie”! Anche Rossi è stato un personaggio delle rive del Po di “cultura altra”. (Marisa Bittasi)

Mio zio Piero, uno spirito libero, che al ritorno dalla prigionia, ha scelto di condurre la vita a suo modo, anche se fuori da ogni schema, e dictat.
Solo chi non si e fermato all’apparenza, ha colto il suo animo puro. I suoi quadri rispecchiano il suo essere narratore e la bellezza della natura in golena. (Nadia Copelli)

Ricordavo Piero, così si chiamava, sin da quando era custode dell’imbarcadero di Pietro Albertoni e di sua moglie Gabriella, nella seconda metà anni Sessanta. Mio padre teneva lì il motoscafo, come anche i suoi fratelli. Aveva fatto il marinaio, il sabbiaiolo, il barcaiolo. Lo ritrovai nel 1982, quando misi in acqua la barca rossa che si vede in foto. Viveva ancora lì ed entrammo subito in buoni rapporti. Da allora a gennaio 1985 mi insegnò tutto quello che si poteva sapere sul Po e sull’andare in barca a remi. Oltre a mille storie, vere, del Po. Nel gennaio-febbraio 1985 per la neve dovette lasciare la sua casa-barca (un barcone in cemento del vecchio ponte, con una cabina di vetroresina appiccicata sopra) e andare al Paralupi Fiorani (casa di riposo ndr). Provò a ritornare sul barcone alcune volte, ma la neve era troppa. Mi chiamarono più volte per andarlo a prendere a Po, sapendo dell’amicizia che avevo con lui. Morì pochi mesi dopo al Paralupi Fiorani, ormai aveva lo sguardo spento e fisso nel vuoto. Il suo mondo era finito. Aveva fatto in tempo a lasciarmi le poche cose che per lui avevano un valore, che lo avevano accompagnato per anni. Le metto in foto come suo ricordo. Fu un personaggio vero, non tanti “fiumaroli” di cartapesta che girano oggi. (Eugenio Bartoli)

Ecco la storia. Una sua frase mi torna alla mente. Quando era periodo di piena e qualcuno si lamentava di non poter raggiungere il Lido diceva “cat le la so ca dal Po”… grande semplicità e verità. Ah, pescava anche storioni negli anni 50… (Giorgio Benaglia)

Io mi ritengo fortunato di averlo conosciuto e aver fatto alcuni discorsi con lui! Tante volte ho pescato con gli amici, mio padre, i cugini e gli zii proprio vicino alla sua barca nel mitico “Pennello” e ricordo quante arborelle e pesci gatti abbiamo portato a casa con mangiate in compagnia! (Andrea Grassi)

La nevicata dell’85 a Guastalla – parte 3

“GUASTALLA IN BIANCO E NEVE…” Gennaio 1985 (foto di Carlo Maestri – testi di Prof Giovanni Miglioli)

Grazie a Cristina Saccani per la concessione delle foto

“… fino a creargli un incanto secondo mantello e un assurdo colbacco in testa… “
“… sempre più impalpabile e incorporea, quasi a raggiungerlo, legno su legno, con il frascame che lo attornia…”
“… sulla Pieve romantica, matildica, dà un’immagine en plein air…”
“… in risalto, in primo piano, l’arabescato disegno della umile ma appropriata fontana in ferro battuto…”
“… la stessa figura meno corrusa, più romantica, più risorgimentale…”
“… e plumbee acque, in contrasto con i bianchi della neve, sulle sabbie tra bosco e bosco…”
“… da gran biscione di ferro, fatto di cavi di acciao e squame di plastica…”
“… sotto un arcone del porticato che inquadra la facciata del Duomo…”

Addio 2020

Di Gianfranca Crema

Poche ore ancora e sarà il momento di lasciare questo anno per iniziarne uno che si spera sia nuovo in tutti i sensi.Una buona parte di questi 12 mesi sono stati vissuti con paura, con ansia e allo stesso tempo, con forza per affrontare un invisibile che ci ha sempre remato contro. Hanno lottato commercianti, artigiani, dipendenti e lavoratori di ogni categoria, inventandosi qualsiasi strategia per portar avanti la famiglia e l’economia.Si è anche scoperta una bella solidarietà per aiutare ospedali e gente in difficoltà.Sono stati anche mesi di sofferenza per chi, purtroppo la sua lotta non l’ha vinta e ha dovuto perderla senza avere una mano affettiva che stringesse la sua.Oltre alla scomparsa stessa, credo sia un dolore tremendo per i famigliari non poter accompagnare nel suo ultimo cammino il proprio caro. Ci siamo privati di abbracci e baci, di strette di mano e di parole dette piano.Abbiamo imparato a parlare con gli occhi, a mostrare affetto a distanza con la mano sul cuore. Ha cantato anche chi era stonato, ha cucinato chi non aveva mai cucinato. C’è chi ha avuto il tempo di giocare tanto coi propri figli e chi li ha aiutati nella scuola da casa.Tutto ciò ci ha insegnato quanto ci si può accontentare anche con poco e quanto sia vero ciò che anche i nostri genitori nonni e bisnonni dicevano: “L’importante è la salute!”Con la speranza che non ci ha mai abbandonato, affrontiamo questo nuovo anno con l’augurio che ci porti un’immensa luce e tanta buona salute.